Sofia Coppola ha recentemente dichiarato in un’intervista che non ama i social network perché non le dà alcun piacere condividere il suo privato con degli sconosciuti. La regista americana ha da poco compiuto quarant’anni e appartiene evidentemente a quella generazione che fa da spartiacque tra i non digitali e i nativi digitali: due mondi diversi, due generazioni che hanno un concetto di privacy agli antipodi.
Se noi quarantenni siamo cresciuti con ben chiaro in mente ciò che è privato e ciò che si può dire in pubblico, i teenager e i ventenni di oggi hanno un concetto di privacy che è totalmente diverso dal nostro. Beninteso, non che non ce l’abbiano, semplicemente il limite si è spostato.
Quando 3 anni fa Mark Zuckerberg dichiarò che grazie ai social network era cambiata la percezione della privacy ed era quindi naturale che facebook rendesse più accessibili le nostre informazioni al mondo intero, nessuno si scompose più di tanto. Evidentemente aveva ragione e gli utenti di Facebook continuarono ad arricchire i loro profili di foto e informazioni personali.
Facebook e gli altri social network sono dunque cresciuti rigogliosi raccogliendo e conservando notizie su di noi, le nostre vacanze e i nostri litigi matrimoniali, sbattendo il tutto in faccia a sconosciuti che hanno la sventura di entrare in contatto con amici di nostri amici e per i quali ci siamo scordati di alzare l’impostazione della privacy del nostro profilo. Perché questo è il gioco: o ci sei o sei fuori. Un ‘mi piace’ di troppo e fai sapere a tua madre che non sopporti il suo modo di badare tuo figlio, e a tutti gli altri cosa hai votato e quali sono i tuoi gusti sessuali. Ma questo è il gioco dello sharing, che considera la privacy un inutile dettaglio, almeno la privacy come era intesa fino a prima dei social.
Nell’ultimo decennio è infatti cambiata la percezione che abbiamo di ciò che è pubblico e privato. Noi che siamo nati nel secolo scorso ci ricordiamo, non sempre purtroppo, che il pudore di parlare di cose private era qualcosa che ci veniva insegnato sin da piccoli.
Oggi di infedeltà coniugali, litigi al lavoro e problemi scolastici dei figli si parla online, si condivide, si fa sharing perché ci hanno spiegato che così si fa. E se noi nati prima di tutto questo magari a volte storciamo il naso e nei meandri più nascosti del nostro cervello di tanto in tanto appare l’immagine di George Orwell a risvegliare la nostra ragione, chi è cresciuto immerso nello sharing non esita a pubblicare foto, status e informazioni senza filtro, con un candore che fa gola ai falchi là fuori sempre in cerca di nuova linfa e informazioni da usare e rivendere.
Stiamo dunque assistendo a una semplice e inesorabile deriva verso l’annullamento del concetto di privacy? Forse sì, ma è bene ricordare che non tutti subiscono questa imposizione del raccontare tutto a tutti. Perché mischiati agli utenti ‘normali’, ce ne sono altrettanti che i mezzi li sanno usare, sanno cosa è il caso di dire e cosa no, sanno cosa raccontare di se stessi per costruire il personaggio o il brand, ‘usano’ insomma i social, prima di venire usati. Di sicuro bisogna passare questo messaggio ai nativi digitali, svegli abbastanza per imparare in poco tempo a usare i social network, ma non maturi a sufficienza per sapere che c’è un confine tra pubblico e privato che è bene individuare e non superarlo.
I rischi sono tanti e li conosciamo tutti: dalla pubblicità mirata al non sapere chi entrerà in possesso delle informazioni che sparpagliamo in giro, ma c’è anche un rischio che non ha niente a che fare con i dati personali raccolti da terzi, un risvolto psicologico che c’è ma pochi lo vedono: l’alimentare il proprio ego a dismisura postando foto e status patinati per avere tanti followers, cuoricini o osannamenti dagli amici. L’effetto che provocano sulla psiche di un teenager tutti questi apprezzamenti, veri o finti che siano, lo sapremo solo tra qualche anno, quando ormai l’ego degli adolescenti di oggi sarà ben nutrito e bisognoso di continue attenzioni, e ci sarà di certo qualcuno qui dentro la rete pronto a sfruttare anche tale bisogno.